Il massacro di Gaza è un altro esempio di ciò che lei definisce lo “iato tra la realtà e la rappresentazione” dell’occupazione e della pulizia etnica della Palestina?
Sì, penso di sì. I media continuano a descrivere questa realtà come se ci fosse stata una guerra fra due eserciti, come se ci fossero due parti uguali, come se ci fosse stato un confronto militare; questo è ciò che viene rappresentato. In realtà si è trattato di un esercito che ha attaccato i civili, una popolazione senza difesa. Invece di descriverle come operazioni di pulizia etnica, operazioni di genocidio, si parla di guerra. E credo che il massacro di Gaza abbia ricevuto lo stesso trattamento già offerto in tutta la storia del conflitto.
Lei ha scritto che oggi non occorre soltanto la condanna del massacro di Gaza, ma la delegittimazione dell’ideologia sionista. Questo perché il sionismo comporta in sé la pulizia etnica, l’occupazione e i massacri?
Credo che soltanto quando la società israeliana e lo Stato israeliano si lasceranno alle spalle l’attuale ideologia, che disumanizza i palestinesi, e che non prevede nessun posto per i palestinesi in Palestina, soltanto quando questa ideologia razzista sarà scomparsa ci sarà una vera possibilità per la pace e la riconciliazione. Se noi ci limiteremo a condannare Israele per questa o altre politiche non cambierà nulla e nel prossimo futuro assisteremo ad un nuovo ciclo di violenze.
Quanto è importante la prospettiva storica per conoscere e per far conoscere la dimensione dei crimini commessi dal colonialismo israeliano in Palestina?
Credo sia molto importante rifarsi alla storia per poter capire ciò che soffre il popolo palestinese, e come in realtà è iniziato il conflitto. C’è una vasta demonizzazione della parte palestinese ed una mistificazione dei fatti che, a partire dal progetto colonialista avviato alla fine del diciannovesimo secolo, hanno visto i palestinesi combattere contro questa colonizzazione, cosa che fanno ancora oggi. Questo non significa idealizzarli né dire se siano buoni o cattivi; è soltanto una realtà che occorre accettare.
E’ sempre più auspicabile l’ipotesi dello Stato unico e democratico in Palestina?
Oggi molti che ancora credono nella soluzione dei due Stati si rendono ora conto che è impossibile, anche se a loro piace l’idea. Sarà molto lungo il viaggio per arrivare a creare uno Stato democratico, visto il punto in cui siamo…ma credo sia l’unica ipotesi positiva per il bene sia dei palestinesi sia degli israeliani.
Nei giorni del massacro sono state tante le mobilitazioni al fianco del popolo palestinese. In Italia è stata rilanciata la campagna di boicottaggio dell’economia di guerra israeliana; può essere un valido strumento come lo fu contro l’apartheid in Sud Africa?
Si, credo che possa avere una funzione molto positiva; è uno strumento ispirato proprio dalle lotte contro l’apartheid in Sud Africa e può avere gli stessi effetti. Lancia un messaggio dall’interno della società che queste politiche e ideologie non sono accettate, e spinge a cambiare queste politiche nella direzione di un vero processo di pace.
Quanto è difficile essere un intellettuale israeliano contro l’occupazione?
Non è difficile, nel senso che i palestinesi soffrono molto di più, a causa degli israeliani. Più che altro è frustrante, è come parlare a un sordo. Non c’è dialogo, non c’è contatto. E’ questa la difficoltà. Soltanto questa.